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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

S.R. domiciliata in Roma presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avv. Carmela Currò, giusta procura speciale a margine del ricorso che indica per le comunicazioni relative al processo il fax n. 090/716524 e la p.e.c. avvcarmencurro.pec.giuffre.it;

– ricorrente –

nei confronti di:

C.F., domiciliato in Roma presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso, giusta procura speciale a margine del controricorso, dall’avv. Nunzio Sinagra che indica per le comunicazioni relative al processo alla p.e.c. avv.sinagra.pec.it e al fax n. 090/5728307;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 222/2015 della Corte di appello di Messina, emessa il 27 marzo 2015 e depositata il 1 aprile 2015, n. R.G. 84/2012.

Svolgimento del processo

 

CHE:

1. Il Tribunale di Messina, con sentenza n. 2116/2011, emessa il 15 novembre 2011, nella causa di separazione dei coniugi S.R. e C.F., ha dichiarato la separazione dei coniugi addebitandola ad entrambi e ha rigettato la domanda della S. diretta ad ottenere un assegno di mantenimento.

2. La Corte di Appello di Messina, con sentenza 222/2015, ha respinto il gravame proposto da S.R..

3. Avverso la sentenza d’appello la Sig. S. propone un unico motivo di ricorso per cassazione con il quale deduce “violazione e la falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 151 c.c., comma 2) quanto alla dichiarazione di addebito della separazione anche a carico della ricorrente.

Motivi della decisione

 

CHE:

4. Il ricorso è inammissibile perchè come è stato, anche di recente, affermato dalla giurisprudenza di legittimità “il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione. Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati per mezzo di una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata” (Cass. civ. sez. 1 n. 24298 del 29 novembre 2016). Specificamente il vizio di violazione di legge, consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione” (cfr. fra le altre Cass. civ. sez. 5 n. 26110 del 30 dicembre 2015 e Cass. civ. sez. L. n. 195 dell’il gennaio 2016).

5. Nella specie con il ricorso per cassazione la S. si limita a contrapporre la propria valutazione di merito a quella compiuta dalla Corte di appello secondo cui la definitiva e insanabile rottura del rapporto coniugale, tale da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza, è stata determinata dai comportamenti reciproci dei coniugi e secondo cui l’appellante, lungi dall’essere animata da spirito di collaborazione ha manifestato il proprio distacco e la propria disaffezione con sterili atteggiamenti aggressivi e trancianti, come il cambio della serratura della porta di casa”.

6. Nè il ricorso può essere valutato come diretto a contestare la motivazione della decisione sull’addebito secondo i requisiti richiesti dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5. Anche sotto questo profilo il ricorso è da ritenersi inammissibile perchè non prospetta l’omesso esame di un fatto decisivo per la controversia secondo i requisiti richiesti dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. civ. S. U. n. 8053 del 7 aprile 2014).

P.Q.M.

 

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in complessivi Euro 4.100, di cui 100 per spese, oltre accessori di legge e spese forfettarie.

Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, per ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 28 settembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2017

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